Legittima difesa, se Salvini appoggia una tentata esecuzione. Anatomia di un delitto

La Camera ha approvato il disegno di legge sulla legittima difesa con con 373 voti favorevoli, 104 contrari e 2 astenuti.  A disertare il voto, nella compagine governativa, sono stati 25 deputati del Movimento 5 stelle, numero che con gli assenti sale a 70, circa un terzo dell’intera pattuglia pentastellata alla Camera. Luigi Di Maio in mattinata aveva riassunto così i mal di pancia in seno al Movimento sul ddl: “È sicuramente una legge della Lega, non è che ci sia tutto questo entusiasmo nel Movimento Cinquestelle. Ma è nel contratto e io sono leale al contratto”.
Servizio Pubblico vi ripropone la vicenda di Angelo Peveri, l’imprenditore condannato in via definitiva a 4 anni e 6 mesi per tentato omicidio.

Matteo Salvini, dopo aver visitato l’imprenditore in carcere, ha ipotizzato di recarsi dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedere la grazia.

Alle ore 21.20 circa del 5 ottobre 2011 un imprenditore e un suo dipendente reagiscono a una rapina di carburante da un escavatore di un cantiere, aprendo il fuoco. I tre ladri scappano ma uno viene fermato, fatto mettere in ginocchio con le mani dietro la nuca, bastonato e poi centrato da un proiettile di un fucile, con la faccia premuta sui sassi del terreno.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha trasformato l’imprenditore in carcere da tre giorni, per scontare una pena di 4 anni e 6 mesi per tentato omicidio, in un eroe, nel simbolo della giustizia fai da te. Spingendosi anche a sostenere una campagna per far ottenere la grazia ai due eroi.

«È una persona per bene, ha lavorato 50 anni e passerà la terza notte in carcere – ha commentato il ministro – un imprenditore che si è difeso dopo 100 furti e rapine, mentre il rapinatore sta a spasso con il portafogli pieno».
I giudici hanno scritto nelle sentenze che si è trattato di una mancata “esecuzione” che nulla ha a che vedere con la legittima difesa. Ieri sera Salvini è andato in carcere a trovare l’imprenditore e il suo dipendente: «Bisogna approvare subito in Parlamento il disegno di legge sulla legittima difesa: se vengo aggredito o minacciato nella mia azienda o a casa mia ho diritto di difendermi senza passare nove anni nei tribunali di mezz’Italia».

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Leggendo le carte del processo, la ricostruzione dei fatti non lascia dubbi sulla mancata esecuzione dei ladri di carburante. Ecco di seguito una sintesi della ricostruzione degli eventi fatta dalla Procura di Piacenza.
Tre ladri entrano nel cantiere di Angelo Peveri, sul greto del torrente Tidone per rubare carburante dai mezzi, da una escavatrice. Scatta l’allarme e il titolare del cantiere armato di un fucile chiama un dipendente e con il figlio corre verso il cantiere.
Cinque cartucce in tutto, sparerà quella sera. Tre dal ponte per far scappare i ladri, ferendone uno «all’altezza dell’epicondilo mediale destro». Ma uno dei tre fuggitivi, Dorel Jucan, decide di tornare indietro per recuperare la sua auto.

E sulla strada incontra il dipendente della impresa corso ad aiutare il titolare, che gli intima di inginocchiarsi a terra con le mani dietro la nuca.
«Da quella posizione – scrivono gli inquirenti – Gheorghe Botezatu colpiva Dorel Jucan agli arti superiori con un corpo contundente non meglio identificato che lo faceva sbilanciare a terra; rimasto supino Jucan riceveva un secondo colpo all’avambraccio sinistro che gli cagionava la rottura del cinturino dell’orologio».

«Nel frattempo sopraggiungeva Angelo Peveri che, nell’area di cantiere, con il fucile esplodeva altri due colpi d’arma da fuoco impiegando per uno un’ulteriore cartuccia calibro 12 “less than letal” e, per l’altro, una cartuccia calibro 12 a 9 pallettoni. In particolare, quest’ultimo colpo attingeva Dorel Jucan alla faccia anteriore dell’emitorace destro e veniva esploso mentre il Peveri, a una distanza di circa 1,5-2 metri e in posizione eretta, sovrastava la vittima che si trovava ancora distesa supina a terra dopo essere stata aggredita, oltre che da Gheorghe Botezatu anche dallo stesso Peveri che, associandosi all’azione del primo, afferrando e tenendo per il collo Dorel Jucan, gli faceva più volte il capo sui sassi del terreno».