Tav, ecco l’analisi costi benefici: cosa dice e perché

Concepita fra infuocate polemiche, gelosie governative e ripicche d’Oltralpe, largamente anticipata nell’esito, l’analisi costi-benefici sulla Tav affidata dal ministro Toninelli al pool di esperti guidato da Marco Ponti ha finalmente visto la luce. Sono serviti 150 giorni, tanto è intercorso fra la nomina degli esperti esterni e la pubblicazione del documento, per giungere a una conclusione che, almeno politicamente, era ampiamente preventivabile: la TAV non s’ha da fare, la stroncatura è netta e senza appello.
La bocciatura della commissione ha un curioso “assetto variabile”, che prende in considerazione più scenari, persino (quasi perfidamente, visto che gli stessi periti lo escludono nelle premesse) che la TAV possa essere il successo ipotizzato dai suoi sostenitori.
Nel primo scenario, infatti, Ponti e i suoi assumono per buoni i dati dell’Osservatorio di Palazzo Chigi, da loro stessi considerati velleitariamente ottimistici, per dimostrare che se pure la Torino-Lione si rivelasse capace di attrarre milioni di passeggeri e gran parte di ciò che oggi transita su gomma da e verso la Francia, lo squilibrio fra costi e benefici sarebbe comunque enorme.
Questo bilancio risulterebbe persino più sciagurato rispetto a quello di un secondo scenario, definito come “realistico” dalla commissione, in cui s’ipotizza che la Tav possa riscuotere un successo modesto ma, curiosamente, con un rapporto costo-benefici meno sfavorevole, anche se sempre negativo.
Come è possibile? La chiave sta in due voci: le minori accise incassate dallo Stato sui carburanti e la riduzione del surplus derivante dai pedaggi per le concessionarie autostradali. In parole povere: se la Tav funziona sulle autostrade transitano meno veicoli e questo comporta una riduzione della vendita di carburante e dei pedaggi, e nessuno dei benefici generati dall’opera è in grado di controbilanciare economicamente questa perdita.

Il primo scenario: “Osservatorio 2011”

Gli esperti guidati da Ponti sottolineano come le previsioni dell’Osservatorio di Palazzo Chigi sull’impatto della Tav siano “non verosimili” perché troppo ottimistiche: sarebbero sovrastimati il tasso annuo di crescita dei flussi (2,5%), l’aumento del numero di passeggeri (da meno di 5 milioni a 12,6 milioni) e  la capacità della  nuova linea di “rubare” traffico ad altre direttrici (il 55% del traffico dal traforo del Fréjus,il 40% dal Monte Bianco, il 18% dai trafori svizzeri e il 30% dall’autostrada dei Fiori).
Eppure, nonostante le perplessità esplicitate, la commissione immagina un bilancio fra costi e benefici dell’opera a partire da dati: pure in questo scenario idilliaco, scrivono gli esperti nominati dal ministro Toninelli, l’analisi costi-benefici dà un responso fortemente negativo, con un valore attuale netto economico dell’investimento di – 7,8 miliardi, che diventano – 8,7  se si includono i costi già sostenuti.
I vantaggi che deriverebbero dall’aumento delle merci in transito e di passeggeri sulla linea, insieme alla diminuzione della congestione stradale, infatti, non vengono considerati sufficienti a bilanciare i costi complessivi dell’opera e l’impatto delle minori entrate per lo Stato dovute alla riduzione delle accise e delle entrate per i concessionari autostradali.

Lo scenario “realistico”

Nello scenario che la commissione ritiene più credibile i flussi che la Tav drenerà dal traffico stradale vengono ridotti della metà rispetto alle previsioni dell Osservatorio, la domanda generata per passeggeri su lunga percorrenza viene ridotta dal 218% al 50% di quella attuale, e pure la domanda dei passeggeri regionali viene dimezzata. Anche in questo scenario la bilancia dei costi-benefici pende dalla parte dei primi: il valore netto economico dell’investimento è negativo per 6,14 miliardi, che salgono a 7,09 se si includono i costi già affrontati.
Il bilancio è, tuttavia, meno sfavorevole rispetto a quello dell’analisi “Osservatorio 2011” perché una fetta consistente delle merci rimarrebbe su strada, non provocando un’emorragia altrettanto grande di entrate dovuta alla riduzione dell’introito da accise e pedaggi.

Il nodo dei tempi di percorrenza e dell’inquinamento

Meno traffico e aria più pulita. I benefici della Tav sui tempi di percorrenza  lungo le principali direttrici stradali del nord-ovest e sulle emissioni non sono in discussione. È la loro consistenza, semmai, a far discutere: secondo la commissione Ponti i vantaggi sarebbero limitati in entrambi i campi, e comunque non sufficienti a bilanciare i costi dell’opera.
Sui tempi di percorrenza i risparmi previsti sono marginali se non impercettibili, con una riduzione complessiva di appena 2 minuti e 20 secondi per i veicoli in viaggio da Milano a Parigi nell’arco di una giornata, che scendono a 1 minuto e 20 secondi per la tratta Milano e Lione e appena cinque secondi per la tangenziale di Torino.
I benefici ambientali sono valutati attribuendo un valore economico alle minori emissioni: a ogni tonnellata di Co2 non immessa nell’atmosfera è assegnato un effetto positivo di 90 euro per minori danni ambientali. La riduzione di emissioni favorita dalla Tav, tuttavia, sarebbe anch’essa marginale: secondo la commissione si produrranno 800 mila tonnellate in meno di Co2, che equivalgono grossolanamente a quanto prodotto in poco più di due mesi dai soli veicoli nelle strade di Roma. Una dato che, raffrontato alle emissioni complessive del settore trasporti in Italia, si ferma allo 0,5%.

I costi di ripristino dei cantieri e le penali

C’è poi il tema dei costi di ripristino dei luoghi dei cantieri. Nonostante nelle ultime settimane sia circolata l’idea che neppure una pietra è stata mossa ai piedi del Moncenisio, in realtà sul versante francese sono stati scavati circa 26 chilometri di gallerie, di cui 7,4 destinati al passaggio dei convogli, mentre sul versante italiano è stato realizzato un tunnel di circa 7 chilometri necessario a portare i mezzi escavatori nel cuore della montagna.
La commissione ha valutato in 1,5 miliardi i costi di ripristino dei cantieri e rimodernamento della vecchia linea del Frejus, che lascerebbero il bilancio dell’opera in territorio ampiamente negativo, con un passivo ridotto però a 5,7 miliardi.
Diverso, invece, il discorso delle penali, affrontato in una relazione tecnico-giuridica di 53 pagine. Il costo massimo tra penali e rimborsi, si legge nel documento, “potrebbe raggiungere i 4,2 miliardi”: nel calderone entrerebbero i contratti con le società impegnate nei lavori, la restituzione dei finanziamenti europei e la rinuncia a quelli futuri, oltre alle possibili richieste di rivalsa, innanzitutto da parte francese. Si tratta, tuttavia, solo di un’ipotesi di studio perché nella battute finale della relazione, firmata dall’avvocato Pasquale Pucciarello, si legge che “i molteplici profili evidenziati non consentono di determinare in maniera netta i costi in caso di scioglimento”.
Determinare quanto costerebbe fermare l’opera, allo stato delle cose, sembra impossibile.
Ed è su questo nodo che, prevedibilmente, si giocherà il futuro della TAV.