Tav “sì o no?”. L’intervista doppia

Parlano i giornalisti Alberto Brambilla e Giorgio Meletti

No Tav – Sì Tav. Sulla linea dell’alta velocità Torino-Lione è ormai scontro totale. Nella maggioranza, con i Cinque Stelle trincerati dietro l’analisi costi-benefici realizzata dal team di Marco Ponti e consegnata ieri al governo che sostanzialmente certifica lo stop all’opera come unica via possibile, e la Lega, schierata sul fronte opposto. Più volte in questi giorni il vicepremier Matteo Salvini ha ribadito che non intende rinunciare all’opera, ventilando l’ipotesi di un referendum. Lo scontro tra gli azionisti di governo non potrebbe essere più forte. 

Sul collegamento ferroviario misto passeggeri-merci è ormai muro contro muro anche nella società civile. Alle storiche proteste No Tav iniziate negli anni Novanta, negli ultimi mesi si sono aggiunte quelle del Movimento Sì Tav. 40mila persone lo scorso 10 novembre sono scese in piazza Castello a Torino affinché si vada avanti con l’opera, attualmente al 15, 5% di completamento e che dovrebbe essere pronta entro il 2030.

Ma è proprio sullo stato dei lavori, sui costi di un’eventuale retromarcia, sull’impatto ambientale dei 57 km della Tav che si consuma la frattura tra favorevoli e contrari. Abbiamo analizzato le ragioni del sì e quelle no insieme a due giornalisti su posizioni opposte, Alberto Brambilla del Foglio e Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano.

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Tav: lo stato dell’opera

Fino ad oggi sono stati impegnati per l’opera circa 2,5 miliardi di euro, di cui 1, 2 già spesi per studi e progetti, finanziati al 50% dall’Unione Europea, per il 25% dall’Italia e per il 25% dalla Francia. Ad oggi sono stati scavati 26 chilometri di gallerie. A Saint Martin La Porte, lato francese, il tunnel di base si estende già per 7, 4 km. Dall’altro lato della frontiera, a Chiomonte, è stato invece completato lo scavo dei 7 km del tunnel “preparatorio” che servirà come accesso a quello su cui dovrebbero passare i convogli della futura linea veloce.

La Tav: opera strategica o “monumento allo spreco”?

“È un’opera che non porterà alcun vantaggio se non ad alcune cricche di politici, ingegneri, burocrati piemontesi che da vent’anni hanno fatto del progetto Tav il loro business, che si faccia o non si faccia. Un po’ come è accaduto sul ponte sullo Stretto”,  sostiene Meletti. In caso di stop all’opera “bisognerebbe pagare una penale di 80 milioni all’Unione europea, il resto è propaganda visto che non è ancora stata fatta una gara per appaltare i lavori”. Il discorso delle penali è stato affrontato anche  nella relazione tecnico-giuridica stilata dalla commissione di esperti nominata dal Mit. Che calcola, tra penali e rimborsi, “un costo massimo, insieme ai rimborsi, di 4,2 miliardi”, accorpando contratti con le società impegnate nei lavori, restituzione dei finanziamenti europei e rinuncia a quelli futuri, possibili richieste di rivalsa.

Ma, denaro a parte, “i costi sono incalcolabili”, ribatte Brambilla, perché, ” oltre ai mancati appalti, alla perdita di finanziamenti, bisogna considerare “eventuali sanzioni da parte della Francia, visto che Tav è un progetto già discusso, condiviso e ratificato bilateralmente nel 2016 e anche la perdita di credibilità”. Difficile, se non impossibile, sarebbe invece il reimpiego dei finanziamenti europei già stanziati per l’opera. “Probabile che vengano aggrediti da altri Paesi dimostratisi virtuosi nel riuscire ad utilizzarli, come la Polonia“, dice Brambilla, mentre per Meletti impiegare denaro pubblico in “un’opera inutile vorrebbe dire in ogni caso buttare i soldi fuori dalla finestra”.

E i posti di lavoro in gioco? Non non saranno più di 2000-2500, dice Meletti, “Poi, se si dice che 2mila persone che lavorano per vent’anni sono 50mila posti di lavoro, allora va benissimo”.