I mostri di Verona

Dito Occhio Vendola

Un venefico tanfo di cultura dell’intolleranza. Un concentrato planetario dell’orrore repressivo contro la libertà delle donne e contro i diritti della comunità Lgbt. Un integralismo culturale che si batte per i diritti del feto ma non per i rovesci drammatici delle famiglie in carne ed ossa dei migranti. Ma che ipocriti! La strage degli innocenti che si consuma sulla scena mediterranea non è colpa di nessuno, non rimanda ad alcuna citazione biblica, qua non c’è Erode, e i diritti umani delle persone viventi e delle viventi famiglie non valgono quanto i diritti degli embrioni. Da queste parti ciò che conta è l’Idea con la maiuscola, la Famiglia con la maiuscola, non il vissuto multiforme delle famiglie vere, la tutela del Bimbo, cioè della metafisica del Bimbo ma non dei bambini veri. Ecco la Verona del Congresso mondiale delle famiglie. Un’adunanza di spettri. Pomposi come i restauratori dell’ancien regime del Congresso di Vienna del 1815.

Incapaci di guardare in faccia la verità: che loro tacciono o mistificano. Prima della legge 194 non c’era un mondo senza aborti, ma c’era la macelleria degli aborti clandestini sui tavolacci delle mammane, per le fortunate c’era il biglietto per un aborto in clinica privata magari in Svizzera. Ma il punto non è la realtà per ciò che è, magari interrogata con delicatezza visto il carico di complessità che grava sulle spalle delle persone in carne ed ossa. Il punto è la colpevolizzazione delle donne, il loro utero trasformato nella scena del delitto, la libertà individuale segnalata come peccato originale della modernità, la tradizione evocata e in parte inventata per arginare l’universalità dei diritti di cittadinanza. Per i mostri e i clowns che hanno animato lo show triste del clericalismo interreligioso e para-fascista nella incolpevole Verona la sacralità della vita è un gadget osceno, violento, un feto di gomma: quel giocattolo grottesco che è una ingiuria alle cose sacre come alle cose profane che compongono la singolarità, l’unicità di ogni vissuto. È in questo clima di radicalismo arcaico che si è consumato il più significativo ed emozionante dei “family day”: quello della Famiglia (uso la maiuscola, in questo caso) di Massimo Gandolfini, il leader del “family day”, duramente contestato dalla figlia Maria non solo per le idee reazionarie, ma anche per i suoi comportamenti di padre. Un padre più attento alla morale che non alle persone.

Un padre che dinanzi a una figlia che si separa dal marito sa solo preannunciare la pena dell’inferno nel fuoco dell’eternità. E tutto questo nel nome di Dio che è amore, un amore piuttosto molesto, militarizzato, etero-normato, chiuso nel castello della tradizione, se possibile carolingio e imperialista. Sui fantasmi di Verona cala la benedizione di quel diavolo del Cardinale Raymond Leo Burke, uno dei condottieri della guerra aperta contro Bergoglio. Al botteghino oltre che nelle sacrestie politiche entra lo spirito e magari i dollari delle congreghe legate a Steve Bannon, il teorico di un nuovo internazionalismo sovranista, maschilista, tradizionalista, populista, va bene anche fascista. Ora, parliamoci chiaro: questi guardiani della fede e dell’identità sanno di essere fuori dalla storia, ma lucrano sulla cronaca, sul business elettorale che possono trarre consegnando alle moderne plebi urbane i capri espiatori su cui scaraventare rancori e paure collettive.

Vogliono solo farci del male per rendere dolorosa la via della pienezza dei diritti. Vogliono spaventarci anche perché sono spaventosi. E spaventose sono le loro superstizioni, i loro rosari in cui sgranano pregiudizi e luoghi comuni, spaventoso è il loro Dio implacabile, una sorta di luminoso serial killer pronto a colpire ogni sorta di eretico e di spirito libero. Loro però non sanno quello che noi abbiamo imparato dai tempi dell’Esodo, quando abbiamo deciso di andare lontano dai territori della colpa e del peccato, quando abbiamo alzato gli occhi al cielo e gridato forte la nostra fatica e la nostra dignità: abbiamo preso gusto a uscire dall’ombra e dal silenzio, a vivere la diversità come ricchezza, ed è il piacere quasi erotico dell’appartenere a se stessi, poter dare senso e verità alla propria individualità e alla propria vita. Abbiamo appreso il diritto e i suoi diritti, abbiamo dato forma a nuove forme di unione e di famiglia. Non sto parlando solo di gay, ma di donne e di uomini, di creature di ogni gender, di individui che non intendono più cedere il controllo della propria sessualità e dei propri sentimenti a un magistero dispotico e ipocrita. Noi abbiamo visto la bellezza della luce e non torneremo mai più nel buio delle caverne.